Arte e mistero: la botta segreta (articolo per Passione Stoccata, ott. 2006)
Le “botte segrete”, gli schermitori ben lo sanno, sono solo il parto della fantasia dei romanzieri: non v'è azione, nella Scherma, a cui non si possa opporre la giusta contraria, dunque non esistono colpi "sconosciuti" in grado di sconfiggere qualunque avversario. La "botta del Duca di Nevers", o la "botta di Lagardère", delle quali ci narra Paul Féval (1817-1887) nel suo romanzo “Le Bossu”, come tutte le azioni schermistiche, in realtà potevano essere neutralizzate. La botta segreta non può essere dunque un colpo invincibile, né tanto meno un colpo nuovo: è anzi un colpo antico, che, eseguito in una situazione nuova, sorprende l'avversario contro il quale è realizzato per la prima volta. Solo per quest’aspetto, in effetti, una stoccata può avvicinarsi a ciò che nell'immaginario collettivo chiamiamo "botta segreta". Persino la botta dritta, certamente il colpo più antico per la sua immediatezza, tanto che tutti gli schermitori sono chiamati a conoscerlo sin dall’inizio del loro apprendistato, può essere eseguita in molti modi, le cui diverse sfumature costituiscono un "fattore sorpresa" per l'avversario. La flèche (ita. "frecciata") di Collignon, come ci ricorda Joseph Renaud nel suo Traité d'Escrime Moderne (1928), non era altro che una botta dritta tirata lanciandosi verso il rivale, ma questi, restandone spiazzato, veniva toccato; l'efficacia della flèche durò finché ne durò "il segreto". Anche il marchese di Chasseloup Laubat (1754-1833), famoso spadaccino, sconfiggeva i suoi avversari con una botta segreta, benché M. de La Palisse (1470-1525), anni addietro, avesse già ricordato che una botta segreta, per essere efficace, non deve rimanere sempre segreta! Quando il Maestro Ambrosie Baudry (XIX sec.) insegnò ai suoi allievi un particolare tipo di contrattacco, in alternativa alla parata, essi vinsero molto sul campo, ma poi questa botta fu compresa e studiata dai più e perse di efficacia. Alfonso Castillejo, Marchese d'Aldama, partecipò a molti duelli in Spagna, in Italia ed a Cuba verso la seconda metà del XIX secolo: al comando di "A voi!" era solito mettersi in guardia malamente e le sue parate erano disordinate. Gli avversari si convincevano di poterlo facilmente battere e così attaccavano con meno preoccupazione: era proprio in quel momento che Alfonso li colpiva con un arresto al piede. Il Marchese di Morés, sulla fine del medesimo secolo, aveva a lungo elaborato una botta che teneva gelosamente segreta, derivata dalla pratica della scherma di canne e di bastone e addirittura allontanava tutti coloro che per caso si trovassero ad assistere alle lezioni che gli impartiva il padre. Una preparazione adeguata tesa a celare le reali intenzioni del proprio gioco schermistico, può rendere misteriosa anche la botta più banale: il traccheggio nella Scherma, come nel Teatro l'arte di preparare la battuta, è sottile e difficile. La segretezza di un colpo sta principalmente nella sua preparazione, che deve essere "invisibile" agli altri e soprattutto all'avversario. E' questo, in genere, il concetto di seconda intenzione, che fa dello schermitore un abile illusionista: tirare, per esempio, un attacco volutamente fuori misura, ma che sembra vero, per sfruttare a proprio vantaggio l'arresto o la risposta dell'avversario. Ogni "botta segreta" può essere efficace una volta soltanto, finché cioè è sconosciuta agli avversari, che non hanno ancora predisposto una contraria opportuna; ma una volta soltanto, in duello, poteva anche bastare. Se le botte segrete esistettero ed esistono anche nella Scherma moderna, esse non sono certo frutto di filtri magici: l'unica “magia” degli schermitori davvero abili è la capacità di preparare la loro "botta" senza che l'avversario se ne accorga per tempo. In questo sta tutta l'arte della Scherma e la capacità dello schermitore di interpretare con efficacia il suo ruolo di attore, a seconda del contesto che la pedana, di volta in volta, richiede. Lo schermitore autorevole è colui che impone all'avversario il suo piano, celandone fino all'ultimo il mistero.
di Alberto Bernacchi