Scherma e serendipità
Serendipità è un termine nuovo, affascinante perché strambo, utilizzato nel vocabolario dei contesti alti come la ricerca scientifica, ma privo di quella seriosità tipica del linguaggio accademico. Serendipità come la condizione di trovare qualcosa di imprevisto, mentre se ne cerca un’altra. Infatti è questo che il neologismo significa: la sensazione del ricercatore di trovarsi di fronte ad una scoperta inattesa, quando lo scopo della ricerca attendeva esiti completamente diversi. Dall’ambito della sensazione, il passo è breve all’affermare che nella ricerca scientifica vi sia sempre un quid di casualità non trascurabile; se ogni ricercatore conoscesse già esattamente ciò che sta cercando, non avrebbe bisogno di cercarlo, bensì gli basterebbe avere una conferma empirica di una realtà che già prevede esatta. Al contrario v’è un aurea di casualità che circonda e permea il percorso di ogni ricerca. Un caso universalmente noto di una condizione di serendipità si verifica con la scoperta delle Americhe da parte di Colombo, che le Americhe non solo non le cercava -non conoscendone l’esistenza- ma addirittura cercava le Indie senza prevedere che sarebbe involontariamente incappato in una scoperta così eccezionale. Tuttavia quella di serendipità è una condizione tutt’altro che eccezionale, poiché si verifica di continuo, in qualunque campo di ricerca e la Scherma non fa eccezione. La Scherma rappresenta infatti un terreno pressoché infinito di applicazioni della serendipità: più si cerca di racchiuderla in rigidi schemi, più si perde di vista il suo vero fine, che da ultimo è il dominio sui fattori circostanziali del combattimento, ovvero la sopravvivenza d’innanzi all’imponderabile. Un gioco naturale e non costruito, connaturato all’essere umano quanto la casualità del mondo che lo circonda. Lo sapeva bene Horace Walpole, Conte di Orford, autore anticonformista in un epoca permeata di scientismo illuminista, che per primo usò il termine serendipità nel 1754 e fu letterato ben introdotto alla corte di Luigi XVI, in contatto con valenti schermitori del tempo, tra i quali il tanto famigerato quanto ambiguo Cavalier d’Eon.
Nel problem-solving schermistico, la ricerca dello schema motorio più adatto alla soluzione del contesto dell’azione tecnico-tattica è l’oggetto continuo dell’insegnamento e dell’apprendimento, tanto che nella lezione individuale il Maestro è ricercatore senz’altro affetto da serendipità, ogni qual volta la strada che percorre lo porta a scoprire nuove soluzioni adatte al suo allievo, più ergonomiche, più efficaci e molto spesso del tutto inattese. Dunque è fondamentale la capacità del Maestro di essere ricercatore aperto alla casualità, privo di rigidi schemi mentali, ma contemporaneamente capace di organizzare e modellare in forma di metodo ogni avanzamento, anche casuale, lungo il percorso della scoperta della scherma più adatta al suo allievo. Naturalmente, a complicare le cose, il fatto che ogni allievo è diverso dall’altro: non c’è dunque un metodo, ma molti metodi di insegnamento ed in definitiva non il metodo giusto, ma un metodo giusto per ogni diverso contesto. La serendipità strutturale della Scherma è qualcosa di più dell’estro e della capacità adattiva richiesta ad ogni buon Maestro, è piuttosto una sorta di genius loci del qui ed ora, mutevole e camaleontico, ma sempre presente nella realizzazione di una stoccata vincente. Non a caso chiamiamo arte la scherma, che è scienza vera solo se accetta la serendipità propria di ogni scienza ed è arte vera solo quando è in grado di dare forma e modello alla libertà di espressione della casualità. Un gioco complesso, che si gioca da solo, come il gioco della natura e di cui il Maestro è osservatore più che artefice, coltivatore più che inventore. Non c’è altro che il Maestro debba voler fare se non gettare i semi della scherma e lasciare che questa cresca nell’allievo, curando che ciò avvenga in modo naturale e creando le migliori condizioni affinché il processo possa continuare: una finestra aperta sulla serendipità degli eventi, con la capacità di cogliere i momenti in cui si raggiunge una scoperta eccezionale, che valga la pena di ergere a conoscenza empirica e replicabile.
Da questi presupposti si può capire quanto sia difficile trovare un giusto equilibrio nell’insegnamento, che prende forma tanto dai trattati, testi sacri della metodologia dell’insegnamento schermistico, quanto dall’esperienza empirica di ciascun Maestro, ma soprattutto dalla propensione all’ascolto, alla lettura ed alla percezione delle minime variazioni di contesto.
di Alberto Bernacchi