La scherma a somma zero, un approccio matematico all'assalto di scherma

Vittoria e sconfitta rappresentano la cifra ultima che contraddistingue ogni performance sportiva e la ricerca dei fattori e delle condizioni che determinano l'una o l'altra costituisce il problema principale cui l'atleta deve far fronte, insieme al suo allenatore. Entrambi questi soggetti, infatti, sono continuamente portati alla ricerca delle soluzioni più adatte per fronteggiare l'insorgere di problemi nuovi o già noti per esperienza, osservazione, sviluppo di automatismi, comunque determinanti per il conseguimento della performance migliore. L'atleta colloca la sua ricerca in una dimensione contingente e quasi esclusivamente realizzativa, sulla base delle sue proprie capacità di problem-solving motorio e di quelle che ha sviluppato con gli strumenti che l'allenatore ha saputo fornirgli: soluzioni predefinite a problemi noti o “metodo” per affrontare quelli non ancora noti. La componente analitica, che passa dall'individuazione dei problemi al processo dell’apprendimento -tecnico tattico e strategico- attraverso cui risolverli, è prevalentemente una prerogativa di lavoro a carico dell'allenatore, cui è richiesto di sviluppare le capacità di reazione dell'atleta dinnanzi a situazioni prevedibili (tecnica) o imprevedibili (tenuta psicofisica, condizione atletica, fattori ambientali e condizionamenti operati dall’avversario) e la sua capacità di indirizzare il gioco verso esiti favorevoli (tattica e strategia).

 

 

Nella scherma, il maestro è il principale referente dell'atleta nella ricerca della performance, ricoprendo il ruolo congiunto di allenatore degli aspetti tecnici, della condizione fisica e della condizione mentale.  Non vi è infatti intervento possibile, o meglio non vi è -in relazione alla performance schermistica- efficacia possibile dell'intervento operato da specialisti (preparatori atletici, psicologi dello sport, rifinitori tecnici) se questo non è coordinato dal maestro, unico allenatore della somma di tutte le componenti che determinano la performance dello schermitore, nella misura in cui il maestro è l'allenatore specialista delle interazioni delle stesse. In assenza di modelli antropometrici costanti, gli strumenti afferenti alle scienze cognitive ed alla analisi comportamentale hanno costituito, almeno negli ultimi vent’anni anni, una matrice privilegiata di applicazione in campo schermistico, individuando quali fattori psicologici identificassero la performance vincente dell'atleta e su quali nodi di interazione psico-fisici dovesse agire l'allenatore per incrementare le possibilità di successo dello schermitore.  Tale contesto di ricerca ha prodotto l'immagine della scherma quale disciplina prevalentemente a carattere mentale, nella quale tattica e strategia risultano il frutto di complesse interazioni psicologiche tra i due opponenti, entrambi continuamente alla ricerca di un equilibrio psico-fisico nel prodursi dinamico di un contesto open-skill, nel quale nulla vi è di certo se non la libertà decisionale di entrambi i contendenti (B.Rossi et alii); libertà che si esercita per ciascun avversario nell’aspirazione a poter determinare tempi e modi del proprio agire in relazione all’altro, finalizzati a segnare un punto nell'ambito delle norme regolamentari che determinano l'assalto in pedana, come imposto dal contesto della scherma sportiva. Si evince altresì come tali interazioni mentali, oggi codificate e finalizzate ad un ambito sportivo, siano del tutto paragonabili a quelle che intervengono nel combattimento non regolato, afferendo esse all'istinto di sopravvivenza ed all'io più recondito dei contendenti. Dal duello sul terreno alla scherma sportiva, la profonda connessione tra azione e coscienza del sé è rimasta pressoché invariata, semplicemente adattandosi ad un contesto diverso.

 

L’approccio cognitivo alle interazioni psicologiche che prendono forma nell'assalto di scherma è un approccio di natura umanistica che fonda la sua scientificità su modelli aperti, che asseriscono l'assoluta indeterminabilità dell'assalto, pur tentando di predirne ed indirizzarne lo svolgimento sulla base di meccanismi e strategie psicologiche. Con l'uso della tecnica al servizio di un contesto tattico, lo schermitore mira a celare informazioni, sovraccaricare e confondere il processo elaborativo dell'altro, svelarne le intenzioni e creare situazioni favorevoli alla realizzazione di una propria determinazione tecnica (scandaglio e traccheggio) (G.Toràn et alii). La scherma appare quindi il campo delle infinite possibili interazioni, ove nulla è predeterminato e nessun modello comportamentale può ritenersi vincente in senso assoluto: infinite possibilità, con l'analisi cognitiva quale unico strumento per predirle o quantomeno assoggettarle. Il diverso approccio di seguito significato vuole invece introdurre modelli matematici per un'analisi dello sviluppo dell'azione schermistica, che, se studiata con le categorie e gli strumenti offerti dalla matematica, può dirsi ben delimitata in un campo di possibili opzioni del tutto predeterminate, la cui indagine può essere rapportata agli strumenti analitici e statistico-probabilistici noti col nome di “Teoria dei giochi”. Tali strumenti ben si prestano all'analisi dell'interazione oppositiva tra due schermitori in pedana, tanto quanto si sono prestati all'analisi socio-economica in diversi contesti umani, sociologici e di strategia militare o politica economica. Un assalto di scherma può essere concepito come la dimostrazione di un teorema matematico: una stoccata portata a segno risulta come la tesi vincente, una stoccata che non va a segno, come la reputazione della tesi perdente. In matematica si definiscono “finiti” i giochi in cui ciascun giocatore gioca da solo contro gli altri ed il numero delle situazioni di gioco possibili, per quanto vasto, è da reputarsi un insieme finito. Un esempio tipico dei giochi cosiddetti finiti è il gioco degli scacchi: l'apertura con l'alfiere, per esempio, prevede una risposta standard con l'avanzamento di un pedone; supponendo sempre che l'apertura celi una seconda intenzione, si rischia di non mettere in pratica la corretta risposta standardizzata.

Tra questi giochi, nei quali ogni avversario può possedere solo un numero limitato e finito di strategie efficaci, si definiscono in particolare giochi “non cooperativi” o “competitivi” quelli in cui i giocatori non possono stipulare accordi se non in diretta dipendenza dai loro obbiettivi e si individuano specificamente tra questi i “giochi a somma zero”, cioè quei giochi in cui la vittoria o la sconfitta di un partecipante è bilanciata perfettamente dalla perdita o guadagno dell’avversario, ovvero la vittoria di un giocatore determina necessariamente ed imprescindibilmente la sconfitta dell’altro. Naturalmente non esiste alcuna forma di collaborazione nei giochi a somma zero, ove la vittoria dell’uno implica la sconfitta dell’altro, come nella scherma, ove prevalgono strategie di seconda intenzione quali potrebbero sociologicamente essere definite “collabora con chi collabora e tradisci con  chi tradisce” e  “fai agli altri ciò che hanno fatto a te”. In questo tipo di giochi è facile cadere preda degli istinti distruttivi o autodistruttivi, perché spesso si preferisce rischiare pur di riuscire a battere l'avversario ed il desiderio di stravincere può prendere il sopravvento. In ambito di Teoria dei giochi, la strategia rappresenta il piano di azione di ciascun giocatore, che considera l’azione da opporre a ciascuna circostanza con cui potrà essere chiamato a misurarsi. La strategia è dunque l’algoritmo cognitivo adottato dal giocatore per risolvere ogni situazione nel corso dell’intera partita, attraverso tecniche finite, di cui può disporre in misura più o meno preponderante rispetto all’avversario. L’insieme di tutte le strategie disponibili per il giocatore dinnanzi a tutte le azioni previste e possibili nel gioco, costituisce il suo profilo strategico, o combinazione di strategie, definibile come strategia “pura”. Ogni giocatore, nel corso di un dato gioco, al verificarsi di diverse situazioni, si identifica di volta in volta con una strategia pura ed una soltanto e non può possederne più d’una alla volta per ciascuna circostanza di gioco. Nei giochi complessi e ripetuti, caratterizzati dal continuo alternarsi delle situazioni, il giocatore deve ricorrere invece ad un calcolo probabilistico adottando di volta in volta una strategia pura tra le tante di cui dispone, ricorrendo in questo caso ad una strategia cosiddetta “mista”.

 

Il gioco schermistico rientra pienamente nella definizione di gioco a strategia mista, finito e non cooperativo a somma zero, poiché nell’assalto di scherma la vittoria di un giocatore determina la sconfitta dell’altro e ciascun giocatore non può fare meglio che cercare di evitare il peggio. Nell’assalto il numero delle situazioni tecniche possibili è finito -benché assai elevato- e la cooperazione tra gli avversari è del tutto esclusa, salvo quella che scaturisce dall’inganno tattico, o accordo non vincolante ed estemporaneo, ma non è rilevante per il fine ultimo del gioco, che in ultima analisi non consente né il pareggio né la vittoria di entrambi. Negli anni '20 del secolo scorso il matematico Emile Borel fu tra i primi a studiare i giochi a somma zero. Nel 1928 l’ungherese Von Neumann attribuisce un valore di minimax e maximin al comportamento del giocatore, sempre finalizzato a minimizzare le perdite nella situazione più sfavorevole e massimizzare la vittoria minima, condizione per la quale ogni giocatore in un gioco a somma zero adotta una strategia perfettamente difensiva, scelta in modo ottimale contro la strategia difensiva dell'avversario. Nel 1994 la Teoria dei giochi (TdG) assurge alla pienezza della sua dignità scientifica con il riconoscimento del premio Nobel per l’economia a John Harsanyi, Reinhard Selten e John Forbes Nash “per la loro analisi degli equilibri nei giochi non cooperativi” e le applicazioni in campo di studi economici. Nella definizione data da Nash, la Teoria dei giochi è “la Scienza delle interazioni strategiche tra due entità che si battono al meglio per raggiungere i propri scopi”. Nell'arco di una decina d'anni John Nash ha elaborato il concetto forse più noto nell'ambito dell’intera Teoria dei giochi, con il nome di “Equilibrio di Nash”, principio che identifica un comportamento che non può essere unilateralmente migliorato in funzione degli scopi di un dato gioco, poiché il giocatore che assume tale comportamento lo avrebbe assunto anche conoscendo in anticipo le reazioni dell'avversario. In TdG si definisce “strategia del massimo” quel comportamento razionale individuale adottato da ciascun avversario in un gioco, considerandolo quale individuo intelligente ottimista, che ha per scopo di adottare sempre la decisione che gli permetta di conseguire il massimo guadagno possibile, ovvero l’adozione della strategia sempre più vantaggiosa per se stesso. Se nel gioco esistesse una strategia che porti il massimo guadagno per tutti i giocatori, si raggiungerebbe un punto di equilibrio con la convergenza degli interessi di tutti i giocatori. John Nash ha dimostrato che ogni gioco finito ad N giocatori ammette almeno un punto di equilibrio in strategie miste: si raggiunge il cosiddetto “Equilibrio di Nash” quando la strategia adottata da ciascun giocatore non può essere migliorata unilateralmente. Il nucleo della teoria dell’equilibrio di Nash era stato presentato per la prima volta nel 1949, come tesi per un dottorato di ricerca alla Princeton University, negli stessi ferventi anni in cui alla Princeton era attivo anche il genio di Albert Einstein. Nash, in seguito, per diversi anni fu al servizio del Dipartimento della Difesa statunitense, lavorando alla Rand Corporation di Santa Monica, compagnia privata specializzata nell’analisi della “guerra fredda” attraverso la Teoria dei giochi: la ricerca sulle strategie di equilibrio fu considerato uno strumento privilegiato per la predizione dei comportamenti militari su larga scala e per fornire materia di studio agli analisti politici. Le teorie di Nash si raffrontano anche in ambito di studi di economia con la “Teoria dei Giochi e comportamento economico” di Von Neumann e Morgenstern; il legame della TdG con gli studi di economia è anche un legame sociologico che può essere facilmente trasportato nella “ergonomia” di un assalto di scherma per i soggetti coinvolti. Secondo Nash si può dimostrare abbastanza facilmente, in maniera non costruttiva e puramente esistenziale, che il primo giocatore possiede sempre una strategia vincente: si sa che esiste la strategia del primo giocatore ma non si sa quale sia. E’ anche abbastanza interessante, secondo Nash, che ciò possa essere dimostrato col ricorso a mezzi topologici, ovvero con  lo studio delle proprietà delle figure e delle forme secondo criteri di convergenza, limite, continuità e connessione. Nel caso specifico dei giochi non cooperativi a somma zero,  come la scherma, riconducibili in definitiva al principio di mors tua vita mea, ciascun giocatore dal punto di vista individuale preferisce disporsi in modo non collaborativo, salvo incorrere nel rischio di penalizzare se stesso.

 

di Alberto Bernacchi