L’ideale olimpico, l’Olimpiade e i Giochi Olimpici

Ad una settimana dalla cerimonia ufficiale di apertura della XXX Olimpiade dell’era moderna, è d’obbligo un richiamo al significato dell’ideale olimpico. Noi che siamo sportivi, infatti, non possiamo limitarci a considerare l’Olimpiade come un evento mondano e commerciale, occasione speciale per essere tifosi del Team Olimpico azzurro, davanti alla televisione seguendo gare di discipline che non conosciamo, per i più appassionati, o nei notiziari della sera, per i più distaccati che trovano a mala pena il tempo per la cronaca di un mondo che sentono troppo distante. Perché per molti il mondo reale, quello del lavoro di tutti i giorni e della vita di tutti i giorni, non coincide nemmeno lontanamente con l’Olimpiade.

E spesso anche chi pratica uno sport, in fondo, si sente così, davanti all’evento olimpico. Distante. Perché siamo abituati a considerare lo sport come un’attività utile soltanto alla salute fisica, nel rispetto di un canone estetico che non ci vuole né sovrappeso né futuri cardiopatici e strumento di socializzazione pratica, in una società che non accetta la solitudine, perché è bello stare assieme e divertirsi, ma soprattutto è comodo per distrarci e non porci il problema di chi siamo veramente. Meglio certamente, comunque, lo sport, uno sport di seconda mano, piuttosto che niente. Meglio per i ragazzi, su cui il sentire comune, in alternativa all’attività fisica, staglia il temibile spettro “della Playstation” o, a seconda di come la si voglia vedere, del divenire occhialuti professori anzitempo, consumandosi sui libri di scuola. Meglio per i giovani, che sentendosi sportivi, magari staranno più a casa la sera, anziché perdersi tra mojito buttati giù uno dopo l’altro, giusto per annullare in compagnia quel fastidioso senso di dubbio che ogni tanto si affaccia nel loro stomaco. Meglio per gli adulti a rischio sedentarietà, che piuttosto della poltrona prediligeranno il bricolage sportivo, ovvero l’entrare nel “negozio dello sport” per comprare pezzi assortiti con cui intrattenersi in modalità fai da te, tra una faccenda seria e l’altra.

E poi ogni quattro anni viene l’Olimpiade, che ci fa visitare Paesi lontani, come fossimo turisti dello sport, culture diverse, bei ragazzi e belle ragazze, tutti in gran forma ed i più romantici e filantropici si sentono persino pervasi da un senso di pace universale, perché l’Olimpiade ferma addirittura le guerre.  Distante quest’Olimpiade e privilegiati o semplicemente diversi, quelli che ci vanno come atleti, ma comunque pur sempre lontani come le cose che non ci riguardano.

Ebbene l’ideale olimpico, quello vero, in realtà è tutt’altra cosa: l’“Olimpiade”, tanto per iniziare, è il periodo di tempo di quattro anni che separa due edizioni dei “Giochi Olimpici”, quel periodo in cui gli atleti si preparano per i prossimi Giochi, faticano, affrontano e superano le difficoltà, i dubbi, le incertezze, dominano le aspettative e costruiscono la libertà che viene dal ricercare con onestà se stessi.  Non si possono confondere Olimpiade e Giochi Olimpici, perché gli sportivi partecipano ai Giochi Olimpici, evento quadriennale, ma vivono la loro Olimpiade quotidianamente. Sono pochi, in proporzione, gli atleti che si qualificano per la partecipazione ai Giochi, ma quella di vivere l’ideale olimpico è un’esperienza cui possono partecipare ogni giorno gli sportivi di qualunque livello, vivendo la loro propria quotidiana Olimpiade. Perché essere sportivi non significa solo essere in forma e cercare di essere più competitivi degli avversari per vincere nel proprio gioco, ma significa vivere da sportivi, affrontando qualunque ambito della propria esistenza, anche al di fuori del gioco sportivo prescelto, con vero spirito olimpico, cioè con il coraggio e la sicurezza di saper cogliere il momento e le occasioni, con la dedizione, la perseveranza e l’onestà intellettuale necessarie per realizzare pienamente la propria libertà, al di fuori degli schemi e delle sovrastrutture che vogliono tutti appiattiti nell’anonimità di vite di cui non saper, davvero, prendere il controllo.

Kαλὸς καὶ ἀγαθός, dicevano i Greci, che questo spirito l’hanno consegnato all’eternità insieme al messaggio olimpico, come mezzo per trovare se stessi e partecipare alla vita con consapevolezza; questo ideale, traducendo il significato di una cultura e non di una lingua, non significa semplicemente il saper essere “belli e buoni”, nella forma, come spesso l’abbiamo travisato, ma far coincidere “il valore esteriore e quello interiore”, ovvero sapersi comportare in ogni momento in modo che ciò che vive dentro di noi coincida con ciò che di noi appare esteriormente e viceversa, in un tutt’uno che segna, in definitiva, il valore umano della persona.  L’Olimpiade, non è quindi, un evento lontano che non ci riguarda. Deve essere un’esperienza di tutti noi, almeno di chi pratica uno sport, se davvero vuole definirsi sportivo; ci appartiene, perché quotidianamente affrontiamo le cose con spirito olimpico, ci appartiene perché viviamo da sportivi. L’altezza dell’obiettivo non sta nel risultato ed il non aspirare ad alti livelli di prestazione sportiva non è una scusante per praticare un qualunque sport senza essere sportivi.

In questo risiede, giovani o meno giovani, la motivazione per fare e continuare a fare sport: imparare ad essere veramente sportivi.

di Alberto Bernacchi