Molto in auge nei primi anni '90, l'utilità degli esercizi di stretching negli ultimi anni è stata spesso messa in discussione da autorevoli pareri, fino non solo a negarne l'efficacia ma ad attribuirle addirittura un effetto negativo sulla performance sportiva. Un dibattito, questo, molto sentito da atleti e operatori del settore, a qualunque livello si tratti di introdurre esercizi di allungamento muscolare sia statico sia dinamico appena prima o appena dopo la performance. Un recente studio della School of Human Kinetics and Recreation dipartimento dell'Università di Newfoundland in Canada, a firma del dr. David Behm, ha messo in luce il percorso evolutivo del pensiero scientifico a proposito dello stretching, evidenziando anche notevoli differenze negli studi di settore pregressi e arrivando a confermare comunque l'utilità di tale pratica se eseguita rispettando alcuni criteri fondamentali. Innanzitutto le sessioni di stretching più lunghe, attorno ai 30 minuti con allungamenti della durata di 30 secondi, dovrebbero essere previste soltanto nei giorni di recupero nella routine di allenamento, con indubbia funzione di prevenzione dagli infortuni e aumento delle capacità articolari e muscolari, mentre appena prima della performance sono consigliate brevissime sessioni di massimo 5 minuti con allungamenti statici di breve durata (5-6 secondi) e dinamici con sola funzione di attivazione muscolare. Lo stretching dinamico, ovvero quello in cui l'allungamento muscolare si ottiene progressivamente con ripetizione di esercizi la cui escursione è sempre più ampia, risulta ancor più efficacie se seguito da esercizi di propriocezione e controllo motorio, rivestendo anche un'utile funzione di "riscaldamento mentale" che introduce l'atleta alla performance.
L'annosa questione sull'utilità dello stretching
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