La scherma ha in sé qualcosa da insegnare. E’ l’onore di avere un’idea e di affermarla con dignità, è il rispetto dell’avversario, del gioco secondo le regole. Ha in sé l’evidenza del colpo, della ferita inferta o subita, della vittoria o della sconfitta, da quando poi è diventata uno sport. Colpire alle spalle, stare nell’ombra, un tempo come oggi, è un disonore per lo schermitore. Così lo è il manipolare le informazioni per ingannare l’arbitro imparziale. Quando dobbiamo venderlo ai media, facciamo leva su quest’immagine del nostro sport, ricco di valori etici e morali. Il Maestro, nell’immaginario collettivo ne è l’esempio prima di tutti, colui che del valore si fa garante. Il Maestro è la cassaforte in cui è chiuso il valore della scherma, la sua cultura millenaria. La nozione di cultura è essa stessa un concetto millenario ed appartiene alla storia del mondo occidentale. La parola viene dal verbo latino "coltivare" e ciò che i Latini coltivarono non fu solo il concetto di guerra, con cui imposero la loro cultura in tutto il mondo allora conosciuto, ma anche il concetto di pietas, che racchiudeva tutta l’esperienza del vivere latino. Aderenza alle leggi divine ed umane, culto della familia e degli antenati, sobrietà e senso del dovere. Ideali trasversali sopravvissuti al susseguirsi delle epoche storiche; quando il mondo sembrava perdere la rotta, si guardava alla latinità per ritrovare le proprie radici. Cavalleria e Stilnovismo, come esempi di fenomeni sociali e letterari, lontani nel tempo e nel contesto, ma espressione comune della ricerca di punti fermi quando catastrofi, guerre, contese politiche e timore di un’imminente Apocalisse incombevano sull’Umanità. Umanesimo e Rinascimento, delle arti, della cultura dell’uomo, delle culture al plurale: definizioni di periodi storici, Illuminismo, definizione della stratificazione della cultura che si dirama in tutti i campi del sapere. La cultura ha potere, è un potere ed il potere si fa politica quando l’uomo è un individuo immerso in una collettività. E la legalità è la garanzia di quel potere, l’unica garanzia dell’esercizio della forza del potere nel rispetto delle leggi, sinonimo dell’atteggiamento di chi si pone dinnanzi alle leggi con l’obbligo di osservarle e rispettarle. Così non v’è cultura senza legalità e diremmo che la legalità è la più basilare forma di cultura di una società organizzata o di una forma di organizzazione della società. La cultura presuppone il possesso della nozione, ma la nozione non è tutto, non è sufficiente a fare l’uomo acculturato. Serve possedere quella pietas dei Latini, trasmutata in legalità attraverso i secoli. Avere il privilegio di possedere una cultura di innumerevoli, variegate e consistenti nozioni, avere il privilegio di ricoprire un ruolo che gli permette di trasmettere agli altri queste nozioni, non fa dell’uomo un dio, non fa delle opinioni dell’uomo una verità. La cultura non ammette fascino, ma solo pietas, legalità. Ogni volta che l’Umanità ha derogato dall’affermazione della cultura intima della legalità si son viste le peggiori dittature, si è visto il cliens romano, si è visto il nepotismo, si sono visti prima i Caesares e poi i Cesaricidi. La fame spingeva il cliente, il ventre, la povertà dei mezzi. Plurima sunt quae non audent homines pertusa dicere laena [Sono molte, troppe le cose che non osa dire chi ha un abito sdrucito] (Giovenale, Sat. V). Povertà è anche povertà di nozione, di capacità di fare, l’esser meno bravi di altri, l’esser meno appariscenti ed affascinanti di altri che si rivestono abilmente di cultura. Una sensazione di povertà coglie alcuni dinnanzi ai compiti che li aspettano e li spinge ad affidarsi ad altri: ma tutti gli uomini, anche i più poveri, hanno nel loro stesso esser uomini il principio dell’humanitas, tutti coltivano dentro di sé con dignità una pietas e nessun coltivatore è mai davvero privo di cultura. L’Uomo non dovrebbe mai vendere in cambio di nulla quel barlume di cultura che possiede, quella intima legalità che conosce dentro di sé come seme di ogni cultura, perché non vi è nozione né insieme di nozioni che facciano una qualunque cultura più grande della cultura della legalità. Non è mai povero chi si informa sui fatti, sulla politica, sulle persone, sulle vicende alla ricerca del principio di legalità. E’ povero solo chi sentendosi nell’inopia e smette di cercare accontentandosi solo della “cultura” emanata dagli altri e presto si ritrova ad esser cliente fagocitato da un sistema che si alimenta con la disinformazione, con la non‐cultura, con la manipolazione psicologica. Non si dovrebbero mai misurare gli avversari prima di un assalto sulla stima di cui godono da parte dei neofiti, su quanti amici o clienti essi abbiano, ma si dovrebbero misurare sul loro reale valore. Lo sanno gli schermitori e lo sanno anche i politici. Gli avversari di valore, gli Uomini, si misurano sulla dignità della loro cultura, non hanno bisogno di circondarsi di attestati di stima, perché chi fa della ricerca della legalità la sua prima e vera cultura, ha più dignità e valore di chiunque altro.
di Alberto Bernacchi